La campagna cancellata
“Che cosa vorremmo ottenere con il piano paesistico regionale? Innanzitutto vorremmo difendere la natura, il territorio e le sue risorse, la Sardegna; la “valorizzazione” non ci interessa affatto. Vorremmo partire dalle coste perchè sono più a rischio. Vorremmo che le coste della Sardegna esistessero ancora fra cento anni. Vorremmo che pezzi di territorio vergine ci sopravvivano. Vorremmo che fosse mantenuta la diversità, perchè è un valore. Vorremmo che tutto quello che è proprio della nostra isola, tutto quello che costituisce la sua identità sia conservato. Non siamo interessati a standard europei. Siamo interessati invece alla conservazione di tutti i segni, anche quelli deboli, che testimoniano la nostra storia e la nostra natura: i muretti a secco, i terrazzamenti, gli alberi, i percorsi, tutto quello che rappresenta il nostro paesaggio. Così come siamo interessati a esaltare la flora e la fauna della nostra isola. Siamo interessati a un turismo che sappia utilizzare un paesaggio di questo tipo; non siamo interessati al turismo come elemento del mercato mondiale.” (tratto da “Memorie di un urbanista” di Edoardo Salzano)
Questa è la presentazione del programma urbanistico dell'ex governatore della Sardegna, Renato Soru, al comitato scientifico incaricato di redigere il piano paesistico regionale (di cui Edoardo Salzano faceva parte).
In un precedente post facevo presente che l'Assessore Provinciale all'Agricoltura (del PD), durante un dibattito alla recente Festa Nazionale dell'Agricoltura e dell'Alimentazione, ha detto che non si può fare e parlare come Soru perché poi si perdono le elezioni.
Poche pagine più avanti, del citato libro “Memorie di un urbanista”, viene detto che la mancata approvazione del secondo stralcio del Piano paesistico regionale, per le lotte intestine al partito di maggioranza, induce Soru alle dimissioni, che apriranno la porta del governo regionale al PDL.
Questa vicenda induce ad alcune riflessioni.
Innanzitutto il fatto che parlare di tutela dell'ambiente e di ecologia è molto pericoloso (come insegna anche il recente assassinio del Sindaco di Pollica-Acciaroli); gli oppositori sono “trasversali” e non si capisce la differenza fra un PD (che ti lascia fare fino ad un certo punto e poi ti elimina) ed un PDL (che non inizia nemmeno a fare), mentre la malavita organizzata (che sugli affari edili ci campa alla grande) ha contaminato strati sempre più profondi della pubblica amministrazione.
Poi la scomparsa di quelle figure, quali l'intellettuale e il tecnico, che informavano e formavano il pensiero politico, l'importanza della comunicazione corretta di scelte valoriali e ideali, il coinvolgimento e le battaglie democratiche.
Poi la totale abdicazione dell'idea di una amministrazione forte che decide per il bene comune, di tutti.
La crisi del pensiero alternativo, di un pensiero democratico, di un pensiero sul concetto di bene comune visto in prospettiva futura, come eredità da lasciare ai nostri figli, ha lasciato campo aperto al dilagare del pensiero unico, viralmente propagato dai media a tutto vantaggio degli affari di pochi.
I partiti della vecchia sinistra non hanno saputo formulare un nuovo progetto, una nuova prospettiva di vita, si sono prostrati (tutti) al nuovo dio “mercato” ed al pensiero unico, unica vera ideologia novecentesca sopravvissuta, svendendo un secolo di lotte per poche poltrone.
In urbanistica questo si è tradotto nell'urbanistica contrattata, con cui le amministrazioni hanno cominciato a fare “affari” con le lobby edili svendendo il “bene comune”, chiamato territorio, per un piatto di lenticchie o per una zuppa di fagioli, mai per uno stampo di lasagne.
Il PCI della fine degli anni '80 si adeguò a questo pensiero unico, con una relazione di Lucio Libertini del 1989 al Comitato Centrale (se non erro, vado a memoria), poco discussa ed approvata all'unanimità, dove si smembravano tutte le piccole, ma consistenti, conquiste per un'urbanistica equa e veramente sostenibile.
Per fare questo si è dovuto azzerare il prolifico rapporto con la cultura e le menti più avanzate della ricerca, negando e nascondendo le ovvietà che i più illuminati evidenziavano già da tempo: il problema energetico, il problema ambientale e climatico, la natura finita delle risorse.
Lo “sviluppismo” (cioè la falsità dello sviluppo capitalistico e consumistico infinito) è un cancro che ha divorato entrambi gli schieramenti e che è servito a fare affari, spesso illeciti, sulla pelle nostra e dei nostri figli.
C'era un tempo in cui la buona urbanistica, quindi una gestione consapevole del territorio, era un vanto che misurava la differenza fra l'alta qualità della vita di alcune regioni (fra cui l'Emilia Romagna) ed il resto del paese.
Gli ultimi venti anni hanno cancellato tutto, e gli effetti li vediamo e li viviamo quotidianamente girando per le nostre strade, o addentrandoci nelle nostre periferie, o cercando una campagna che non c'è più: un ricco territorio devastato da una villettopoli continua, strade intasate ovunque, inutili mega centri commerciali e capannoni (spesso vuoti) in qualsiasi posto.
Per prendere voti, come ci spiegava quell'assessore di cui dicevo, bisogna nascondere i problemi e raccontare delle balle.
Diventa importantissima la comunicazione, ma solo per decorare un vuoto progettuale generalizzato.
L'autoreferenzialità dell'attuale attività politica si concentra in queste poche ultime righe, si è rinunciato a un messaggio forte e vero per mantenere il potere.
Ci si è allineati, si è smesso di pensare al futuro per continuare egoisticamente a governare; senso civico, dignità, progetto, sono diventate parole desuete sostituite facilmente da potere e affari, variamente mascherati e/o comunicati.
A suo tempo si è rinunciato a creare un'alternativa, lo vediamo bene nell'indifferenza programmatica fra i due maggiori partiti attuali, e ora la società si ribella con un associazionismo diffuso anche radicale, e con un'insofferenza sempre più marcata verso delle istituzioni insopportabilmente rappresentate da personaggi almeno discutibili.
I nuovi-vecchi partiti definiscono questo aspetto come l'antipolitica (sempre in un'ottica di autoconservazione), ma non sono più capaci di creare un'idea reale di società futura che sappia confrontarsi con le immense sfide, non economiche o finanziarie ma di sopravvivenza, che si devono affrontare già da ieri.

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