Decrescita e area nord
Più di 500 persone hanno partecipato ad una conversazione con Serge Latouche (si veda Wikipedia per una breve descrizione), al Fuori Orario.
Più di 500 persone ad ascoltare e dialogare di decrescita, di resilienza, di localismo, di picco del petrolio, di impronta ecologica, di insostenibilità del nostro stile di vita, di inevitabile fine del capitalismo e del suo aspetto più deleterio che è il consumismo, di transizione.
E' un buon segnale.
La “filosofia” economica della decrescita nasce attorno agli anni '70 del secolo scorso e si può fare risalire a Nicholas Georgescu-Roegen ed ai suoi scritti di bioeconomia.
Alle nostre latitudini mediopadane comincia ad essere abbastanza conosciuto il “Movimento per la decrescita felice” che ha in Maurizio Pallante uno dei principali promotori, oltre che fondatore.
Chi si interessa a questi argomenti non è ancora “massa critica”, ma la consapevolezza verso la finitezza delle risorse naturali a nostra disposizione sta aumentando.
Uno degli scogli principali, lo ricordava Latouche, è la classe politica tutta; nel programma del governo Prodi si ripeteva ben 42 volte la parola “crescita”, mentre nel recente programma del governo Berlusconi si arrivava a 48 citazioni.
“Crescita” e “sviluppo” sono parole strumentalmente usate per catturare consenso, il controllo dei media impedisce che sull'abuso di questi termini ci sia chiarezza e consapevolezza delle conseguenze.
E' sufficiente guardare il dato dell'impronta ecologica dell'Italia, un parametro molto semplificato per difetto, il quale ci dice che, per garantire la rigenerazione delle risorse naturali, stante il nostro stile di vita, ci sarebbe bisogno di tre Italie; vale a dire che ci stiamo divorando non solo il nostro futuro e quello dei nostri figli, ma anche quello dei nostri nipoti!
Sono rari i politici, e gli amministratori, che hanno il coraggio di richiamarci a questa semplice verità; per due motivi: perderebbero subito la maggioranza dei voti e si troverebbero contro tutti i potentati economici della nazione, recentemente c'è anche chi è stato ucciso (un potentato economico tipico italiano è la mafia, nelle sue varie declinazioni).
E' anche vero che affrontare il tema della decrescita significa mettere in discussione tutta la nostra economia e dimenticarsi di quel parametro economico falso e contraddittorio che è il PIL (prodotto interno lordo), ma soprattutto il non usarlo come valore, come misuratore del benessere di una società.
Chi ha letto alcuni miei precedenti post sa che ne ho già parlato.
Mi interessava però parlarne per ritornare su un altro argomento caro a questa rubrica: l'Area Nord e la stazione TAV.
Recentemente abbiamo assistito ad un rifiorire dell'interesse attorno all'argomento, complice la lungaggine dell'Amministrazione Comunale rispetto a quanto annunciato ai cosiddetti Stati Generali.
Da una parte un recente convegno organizzato dalle opposizioni riunite (con l'esclusione del solo Movimento 5 stelle) in cui si spinge alla cannibalizzazione di quella parte di Reggio in virtù della solita visione “futura” della città e richiedendo un confronto ovviamente “alto” (un politichese da paura).
Dall'altra un recente post di Claudio Ghiretti, di cui non condivido nulla, ma apprezzo la chiarezza delle analisi e delle proposte.
Non condivido perchè parte, nell'elaborare il suo pensiero, dall'ineluttabilità dell'occupazione dell'area nord con tutto quanto fa spettacolo (cioè la saturazione edilizia dell'area) e dal proporre un'aberrazione formale di inusitata violenza, per il centro storico, quale la costruzione di in polo commerciale-direzionale in uno dei pochi vuoti urbani rimasti.
Personalmente rimuoverei anche il famigerato parcheggio e gli autobus li fermerei al centro di interscambio di piazzale Europa, limitando l'accesso ai viali di circonvallazione alle sole navette di collegamento con i parcheggi scambiatori, ma questo significa rivedere completamente la politica ACT con una lungimiranza che non le è propria da molto tempo.
Sull'area nord sappiamo già che ci troveremo un bellissimo centro commerciale, certamente particolare e soprattutto grande (i nuovi centri commerciali sono sempre “il più grande della zona”, come se fosse sinonimo di qualità invece che essere la prima bufala raccontata per pubblicità).
Sappiamo anche che ci sarà il nuovo palazzetto dello sport, altri edifici di terziario, altre abitazioni e certamente tanto verde da rendere sostenibile il nuovo grande intervento della nuova Peggio Emilia (sono sempre sostenibili i nuovi interventi, questa è la seconda bufala pubblicitaria!).
In una relazione rassegnata all'Unità di progetto del Comune, dai due urbanisti Edoardo Salzano e Mauro Baioni, leggo:
“La santa alleanza tra concessionari, costruttori, immobiliaristi e grandi imprese spinge per localizzare lungo le infrastrutture nuovi edifici produttivi e commerciali, in una logica di espansione senza fine, non finalizzata a bisogni socialmente rilevanti, che sta distruggendo il territorio e impoverendo le città e la società.
Sebbene non sia possibile ridiscutere la realizzazione della stazione, riteniamo utile evidenziare le conseguenze di una siffatta impostazione e, soprattutto, le incognite che tuttora pesano sul funzionamento della stazione mediopadana e che – a nostro avviso – non possono essere esorcizzate mediante la realizzazione di ulteriori insediamenti capaci di garantire – con i loro abitanti e addetti – un numero elevato di fruitori del treno ad alta velocità.”.
In dieci righe viene perfettamente descritta l'inutilità per Reggio della stazione mediopadana e i danni indotti che questa infrastruttura sta già generando sul futuro della città.
Ritorno all'inizio del mio scritto, alla decrescita; non tanto come scelta di vita, ma come impellente necessità per la sopravvivenza.
Ritorno all'incapacità di politici ed amministratori di concepire qualcosa che non sia “crescita e sviluppo” e mi chiedo se sia solo ignoranza, insensibilità verso la propria terra, semplice mancanza di consapevolezza, oppure se sia incapacità o altro.
Stiamo soffocando nella bulimia edilizia degli ultimi decenni e si continua a proporre ciò che ha rovinato la città e la società come l'antidoto a tutti i mali.
Ricordo un convegno sull'area nord con effetti speciali e colori (e la partecipazione dell'archistar Santiago Calatrava) che raccontava una città di manager desiderosi di correre fra Milano e Roma, con un contorno da film di fantascienza in carta patinata.
Ricordo altresì un bellissimo documentario, “Il suolo minacciato” (classificatosi secondo al viaemiliadocfest, dopo il documentario sulla strage di Bologna e in questo vedo tanto del sentire di noi emiliani, di ciò che ci sta veramente a cuore e nel cuore), in cui, senza effetti speciali e colori, si rende evidente il disastro provocato sulla nostra campagna dall'agire per la crescita e lo sviluppo.

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