Acqua bene comune 1

Lunedì scorso, al cinema EDEN di Puianello, si è dato il via alla campagna referendaria contro la privatizzazione dell'acqua.
Sarà una lunga campagna, ma soprattutto difficile, dato che sarà sabotata a tutti i livelli, ragione per cui ne parleremo ancora.
Ancora non si sa quando si andrà a votare e a quanto pare non sarà unito alle elezioni amministrative, quindi sarà una data probabile quella del 12 giugno.
Non è questione secondaria, questa della data, per almeno due motivi.
Se si confermerà la data del 12 giugno, in quei pochi spazi che saranno dedicati all'argomento, sentiremo spesso l'invito all'andare al mare da parte di tutti coloro che hanno un interesse (prettamente economico) a impedire che si raggiunga il quorum.
L'altra fastidiosa conseguenza sarà il fare, inutilmente, spendere allo Stato, cioè a tutti noi, qualcosa come 350/400 milioni di euro, sempre per favorire coloro che hanno interesse (squisitamente economico) ad affossare questo referendum. Se pensate ad uno Stato, come il nostro, con i nostri livelli di cassa integrazione, con i tagli che sono stati fatti alla scuola pubblica, alla cultura, alla sanità ed allo stato sociale in genere, l'inutile spreco di 400 milioni di euro è uno schiaffo a tutta la società.

Ma veniamo alla serata, organizzata dal comitato promotore dei quesiti referendari.
La buona partecipazione di pubblico fa ben sperare sia sulla riuscita della serata che, in genere, della campagna referendaria.
Si inizia con la proiezione di un documentario sull'esperienza della privatizzazione dell'acqua in Francia, ma che riporta anche le esperienze di vari altri paesi.
In Francia la privatizzazione dell'acqua ha iniziato il suo cammino già venti anni fa ad opera di due società, Suez e Veolia, e delle tante loro diramazioni o società derivate.
I risultati principali sono stati, secondo quanto dimostrato dalle vicende narrate nel documentario:
  • un aumento della tariffa dell'acqua, anche attraverso bilanci truffaldini;
  • una diminuzione della manutenzione della rete ed un aumento delle dispersioni;
  • una riduzione delle qualità organoletiche dell'acqua potabile ed un incremento della quantità di cloro;
  • un aumento esagerato dei profitti delle società;
  • un aumento della corruzione ed un inquinamento del sistema del controllo sociale sulle attività di queste società;
  • un fortissimo calo del controllo ambientale delle zone dove avvengono i prelievi e gli emungimenti.
Era interessante vedere il sistema di controllo dei media attuato da queste società, che si è spinto fino ad occupare, con cospicui finanziamenti, anche le università ed i centri di ricerca. Così come il vedere le infiltrazioni nelle istituzioni degli uomini di queste società, con operazioni anche spericolate di lobby dove non si riconosceva più il controllore ed il controllato, tutti pagati dallo stesso portafoglio pubblico.
Devo dire che era veramente rivoltante vedere tutte queste persone speculare su un bene primario quale è l'acqua potabile.
Ma è ancora più rivoltante vedere amministrazioni pubbliche, incapaci, svendere quanto costruito, con il contributo di tutti i cittadini, per ripianare i debiti creati dalla loro incapacità gestionale.
Perchè, di fatto, questo è una privatizzazione di un bene primario come l'acqua potabile, l'abdicazione dell'amministrazione pubblica e la svendita ai privati; cioè questi incapaci amministratori ribaltano due volte la loro incapacità sulle spalle dei cittadini, ed in più, come si dimostrava nel documentario, si prendono pure le tangenti dalle grandi società.
Non credo che in Italia ci sia bisogno anche di questo.
Per questo ai referendum voterò due volte “si”.
Credo che, invece che svendere ai privati, sia molto più produttivo mandare a casa questi incapaci (quando non corrotti) e costruire una classe amministrativa e dirigenziale più sana di principi e di senso civico.
La legge Ronchi va combattuta perchè non si può privatizzare ciò che da sempre (e ne sono un esempio i Romani con i loro grandi acquedotti, che portavano l'acqua potabile e pubblica nelle città) rappresenta la civiltà e la comunità costituita in una città, un bene primario, di vitale importanza ed a cui devono potere avere accesso tutti gli strati sociali, fino ai più marginali.

Ma al di là di questioni storiche e/o etiche mi viene a mente che, nel nostro piccolo, a Reggio Emilia, già adesso non siamo messi tanto bene.
Mi viene in mente che IREN è quotata in borsa, quindi è già privata.
Agisce in regime di monopolio assoluto dove può alzare le tariffe a suo piacimento, i suoi manager sono pagati tantissimo (addirittura più di Obama, il quale, mi pare, ha ben altri livelli di responsabilità) grazie alle nostre bollette, ma hanno lo scopo di aumentare i dividendi dei soci, non di ridurre i costi.
Una società privata, ma costituita su quanto costruito con le tasse e le bollette di tutti noi, che si spaccia per eccellenza della città, che come competenza distintiva già decide, al posto dell'amministrazione pubblica, su grandi temi quali l'energia, oppure sviluppa un centro ricerche all'interno del nuovo polo tecnologico per dimostrare quanto sia vero ciò che dice.
In sedicesimo, o in trentaduesimo, mi sono rivisto il documentario francese in salsa reggiana.
Come sempre, noi reggiani, vogliamo aspirare a fare i primi della classe e sperimentiamo, prima di altri, le meraviglie di una legge malata.
Non so e non credo esistano quelle sacche di corruzione, a Reggio Emilia, che il documentario francese descriveva in altre realtà, ma la linea tracciata e l'esperienza italiana in materia non mi consente di dormire sonni tranquilli.

Commenti

Post più popolari